SOAVI LE COLLINE, SOAVE IL VINO

Soave è un bellissimo paese, famoso per il suo castello medioevale, che è uno dei più importanti del Veneto, e per il vino che porta il suo nome. La zona classica si estende tra Soave e Monteforte d’Alpone, mentre la Doc comprende ben 13 comuni della fascia collinare ad est di Verona. Nel Soave ci deve essere una percentuale non inferiore al 70% di uva Garganega, mentre possono concorrere fino ad un massimo del 30% altri vitigni a bacca bianca come il Trebbiano di Soave, il Pinot bianco e lo Chardonnay.

Il Soave ha colore giallo paglierino con riflessi a volte verdognoli, profumo leggermente fruttato e sapore che richiama la mandorla amara. In bocca si presenta asciutto. Il Soave d’annata ha una gradazione alcolica tra gli 11° e gli 11,5°. La qualifica Superiore o Superiore Classico identifica il vino che è stato sottoposto ad almeno un anno di invecchiamento. Il Soave si serve a una temperatura di 9-10 °C e si sposa particolarmente bene con gli antipasti e con i piatti a base di pesce. Il Recioto di Soave è invece un vino
dolce con gradazione alcolica di almeno 12°. Si usano le medesime uve del Soave, mentre il processo di vinificazione è lo stesso del Recioto della Valpolicella. Ha colore dorato e profuma di frutta secca. Il sapore è vellutato, aromatico, pieno. Va servito con i dessert.

 

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I VINI DELLA TERRA DEI FORTI

Il territorio che risale l’Adige fino ai confini di Trento è la Terra dei Forti. Si chiama così perché in quanto via d’accesso al Tirolo è coronata di castelli e, per l’appunto, di forti. Inizia alla Chiusa di Ceraino e si apre a nord tra i fianchi del Monte Baldo e della Lessinia. Comprende i comuni di Rivoli Veronese, Dolcè, Brentino Belluno e Avio. Due sono i vini tipici della Terra dei Forti: l’Enantio e il Casetta. L’Enantio è un vitigno autoctono molto antico e resistente, citato già dallo storico romano Plinio nel I sec. Ha un colore rosso rubino molto intenso con profumi di frutta matura particolarmente penetranti. Gli abbinamenti tradizionali sono con i piatti a base di selvaggina, carne alla brace, la tipica pastisada de caval e formaggi stagionati come il Monte Veronese Dop. Il Casetta, anche questo autoctono, ha rischiato l’estinzione in seguito ad un progressivo abbandono in favore di varietà più richieste e produttive. Dal 2006, con la nascita della denominazione Terra dei Forti, ha ottenuto finalmente la Doc. La coltivazione e la vinificazione richiedono attenzione ed esperienza, per ricavarne vini eleganti e dotati di forte personalità.
Il Casetta ha colore rosso intenso e profuma di prugna e marasca. Vino longevo, dopo un adeguato affinamento in bottiglia è ottimo con cacciagione e arrosti. Con la denominazione Valdadige Terra dei Forti Doc si producono anche Pinot Grigio, Chardonnay e Passito.

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LA PICCOLA ROMA

Già ai tempi dell´Impero Romano Verona fu chiamata la piccola Roma, forse perché ha un grande anfiteatro e perché, con il fiume che la attraversa e con i colli che la abbracciano, ricorda un po’ la città eterna. Questo appellativo sopravvive ancora, dopo duemila anni, e tutto sommato è abbastanza sostenibile, considerando il fatto che le tracce delle Verona romana sono veramente tante.

Dopo l’Arena, il monumento più rappresentativo si trova nei giardini accanto a Castelvecchio. Costruito dai romani agli inizi del primo secolo, il bellissimo Arco dei Gavi è un raro esempio di arco celebrativo dedicato ad una famiglia di privati cittadini, la gens Gavia, che aveva ottenuto dalla municipalità il permesso di edificarlo a proprie spese su suolo pubblico. Per la sua ubicazione fu scelta una posizione prestigiosa: al centro del corso, dove oggi c’è la torre dell’orologio del Castello. All’epoca era il punto d’arrivo della via Postumia, importante strada consolare che congiungeva il mar Tirreno con il mare Adriatico. In epoca medievale l’arco divenne una delle principali porte di accesso alla città, con il nome di Porta Nuova di San Zeno.

Fu Napoleone a farlo togliere perché troppo stretto per il passaggio delle truppe, riducendolo così ad un cumulo di pietre. Ottant’anni fa l’arco fu restaurato e rimontato dove si trova oggi. Due particolari da notare: il tratto di selciato romano originale che si trova sotto l’arco, con i segni lasciati dai carri, e il nome dell’architetto scritto all’interno: Lucio Vitruvio Cerdone. Non è il famoso Vitruvio che scrisse il De Architectura ma è comunque un fatto insolito che un monumento antico sia stato firmato dal suo architetto.

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I VINI DEL GARDA

Il basso lago è circondato dalle colline del cosiddetto anfiteatro morenico, dove grazie al clima mite e alla moderata piovosità si coltivano da sempre la vite e l’ulivo. I vini più conosciuti del Garda veronese sono il Bardolino, il Custoza e il Lugana. Il Bardolino utilizza le stesse uve del Valpolicella con l’aggiunta di una piccola parte di Negrara. Ha un colore rosso rubino attenuato e un profumo delicato di ciliegia. Il sapore è leggermente aspro, asciutto, e si presta ad accompagnare molto bene i primi piatti, le carni bianche, le fritture. La zona di produzione del Bardolino Classico comprende tutto il territorio dei comuni di Bardolino e Garda e parte dei territori di Lazise, Cavaion, Costermano e Affi.

Il Custoza ha un colore giallo paglierino, un profumo leggermente aromatico, un sapore delicatamente amarognolo. È considerato ottimo aperitivo e anche vino da tutto pasto. La zona di produzione comprende i comuni di Sommacampagna, Villafranca, Valeggio sul Mincio, Peschiera del Garda e in parte anche Castelnuovo, Sona, Bussolengo, Pastrengo e Lazise. Il Lugana si coltiva sul confine tra Verona e Brescia. Si consuma preferibilmente fresco d’annata, ha un colore giallo con venature verdognole. Il profumo è leggermente fruttato, il gusto è asciutto e delicato. Servito a 9 °C, è il vino ideale per pesce, crostacei e frutti di mare. È ottimo anche come aperitivo.

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LO SPUMANTE DELLE DORSALI VULCANICHE

Le valli dei Monti Lessini orientali rappresentano da sempre un ambiente ideale per la vite ed uno scrigno naturale in cui la produzione enologica può raggiungere i risultati più brillanti. La silhouette aguzza dei rilievi rivela immediatamente l’origine vulcanica: una caratteristica che lascia un’impronta profonda nel vino spumante Lessini Durello. L’Italia ha una grande varietà di territori vulcanici, eppure quelli vocati alla viticoltura sono pochi. Uno di questi è qui, contiguo all’area del Soave. La Durella è il vitigno autoctono: una vite antica e rustica che dona uve dorate le cui caratteristiche principali sono il tipico sapore acidulo e la buccia spessa e ricca di tannini. La zona di produzione è alto-collinare e si trova a cavallo tra le province di Verona e Vicenza. I comuni veronesi interessati sono l’intero territorio di Vestenanova e San Giovanni Ilarione, a cui si aggiungono parte dei territori di Montecchia di Corsara, Roncà, Cazzano di Tramigna, Tregnago e Badia Calavena. Lo spumante Lessini Durello, più comunemente detto Durello, è fresco, vivace, molto secco, leggermente acidulo, adatto per essere servito come aperitivo. Ottimo l’abbinamento con i piatti della cucina veneta e marinara: frittate e minestre a base di erbe spontanee e asparagi, baccalà, antipasti di mare.

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IL VINO DELLE GRANDI OCCASIONI

In epoca romana in Valpolicella veniva prodotto il retico. Era un vino molto concentrato, che sopportava bene il trasporto. Prima di essere bevuto veniva diluito e speziato come piaceva allora. Un vino rosso dolce viene tuttora prodotto in Valpolicella. Si tratta del Recioto, che prende il nome dalle recie, in dialetto le orecchie del grappolo, ovvero gli acini più esposti al sole e quindi i più dolci. In passato i grappoli venivano lasciati ad appassire fino a Natale su graticci o appesi nei sottotetti, poi venivano pigiati e vinificati. Era una bevanda preziosa, considerata quasi una medicina, e veniva data con il cucchiaino alle puerpere o ai bambini ammalati come ricostituente. Ancor oggi molte aziende della Valpolicella hanno una piccola produzione di Recioto. Viene prodotto con le stesse uve appassite che vengono utilizzate per l’Amarone, che del Recioto è un moderno discendente. La cura e l’attenzione di una volta nella minuziosa selezione dei grappoli e degli acini viene eseguita solo da alcuni produttori che tuttavia riservano le poche bottiglie prodotte al consumo famigliare o come regalo per gli amici più importanti. Il Recioto, tra i pochissimi passiti rossi prodotti in Italia, è un vino da dessert molto raffinato, la cui dolcezza non risulta mai stucchevole. È ideale in accompagnamento di pasticceria secca come cantucci o torta sbrisolona. Ottimo anche con il cioccolato o da gustare solo, a fine pasto, come vino da meditazione.

 

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IL PALAZZO DEL DIAVOLO

Sono duemila anni esatti che la città vive attorno a questo enorme edificio, chiamato Arena a partire dal Medioevo. Quando fu costruito poteva accogliere fino a 30.000 spettatori, un numero di gran lunga superiore agli abitanti della Verona romana, il che dimostra che gli spettacoli attraevano gente dai dintorni e anche da città vicine. Con la caduta dell’Impero tutto finì e l’Arena divenne dapprima la fortezza di re Teodorico e poi una cava di pietra per costruire torri, mura e palazzi. Ai danni dell’uomo, si aggiunsero l’incuria del tempo, le piene dell’Adige e i terremoti, che fecero crollare la parte esterna. Con il passare dei secoli si perse la memoria della grandezza e dello splendore dell’Impero e il popolo di Verona finì per ritenere che l’Arena fosse opera del diavolo. Si raccontava infatti la leggenda di un gentiluomo, condannato al taglio della testa, che avrebbe offerto alle autorità cittadine qualsiasi somma pur di aver salva la vita.

La proposta fu accettata e in cambio della libertà l’uomo doveva, nello spazio di una notte, erigere un edificio per gli spettacoli pubblici capace di contenere tutti gli abitanti della città. Il gentiluomo non si scoraggiò ed entrò subito in trattative con il diavolo, al quale offrì la sua anima. Durante quella notte, tuttavia, il gentiluomo si pentì del terribile patto e pregò ardentemente la Madonna di salvargli l’anima. Questa concesse la grazia, facendo sorgere il sole due ore in anticipo e non permettendo ai diavoli di terminare in tempo la costruzione. L’edificio rimase così incompiuto e questa sarebbe la spiegazione dell’ala.

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UN CAPOLAVORO NATO PER CASO

L’Amarone è un vino unico, traboccante di aromi e sensazioni. I vitigni che lo compongono crescono solo nelle verdeggianti colline intorno a Verona. Il suo colore è un intenso rosso rubino. Il profumo appare morbido e caldo, con fragranze che ricordano le amarene, le prugne mature, le confetture, i lamponi, le viole, le ciliegie appassite, la frutta sotto spirito e un po’ anche la cannella. Il metodo con cui viene prodotto, che prevede il semi-appassimento delle uve prima della pigiatura, non viene usato per nessun altro vino rosso di elevata qualità. Grazie a questa tecnica i suoi aromi pieni e avvolgenti rimangano tali anche dopo anni di invecchiamento. La sua storia è recente e al tempo stesso antica. La prima bottiglia è entrata in commercio nel 1953, ma per lungo tempo è rimasto un vino rivolto ad un consumo locale. Bisogna arrivare all’eccezionale annata del 1990 per vederne lo strepitoso successo internazionale. Prima dell’entrata in commercio c’è invece una storia raccontata che parla di grappoli intrecciati ed appesi al soffitto sin dai tempi di Roma. E poi di anfore cosparse all’interno con una pasta di mandorle amare. E ancora dell’aggettivo amaro con cui i contadini chiamavano il vino secco, per distinguerlo dal vino dolce (di gran lunga preferito). Ma veniamo al famoso “caso”. Fino a poco più di vent’anni per i veronesi era il Recioto il vino più amato. L’Amarone era ritenuto una sorta di variante secca e si diceva che si fosse formato, per caso, in alcune botti di Recioto dimenticate per anni in una cantina.

 

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VALPOLICELLA, LA CULLA DEL VINO VERONESE

La leggenda narra che il nome Valpolicella sia nato da “poli” e “cellae”, a significare valle dalle molte cantine. Diciamo che questa leggenda ci piace, anche se l’origine vera del nome è tutt’ora molto controversa. La Valpolicella è l’insieme di valli che si estende a nordovest della città, una zona paesaggisticamente molto bella, ricca di ville, parchi e borghi. È in questa zona che nasce il vino Valpolicella. Corvina, Rondinella e Molinara sono i vitigni utilizzati nella vinificazione, tutti autoctoni. In bocca il vino si presenta vivace, asciutto, appena amarognolo, armonico e scorrevole nella struttura. Il colore è rosso rubino brillante e il profumo è delicato, gradevole, con sfumature di viola, mandorla o giaggiolo, a seconda della zona di produzione. Se fresco d’annata, il Valpolicella ha una gradazione di 11,5°. Servito a circa 16° è un vino a tutto pasto. La qualifica Superiore identifica il Valpolicella che è stato sottoposto ad almeno un anno di invecchiamento e che ha quindi una gradazione non inferiore ai 12°. Il Superiore va servito a 18 °C e si accompagna preferibilmente a carni grigliate o arrosti. La definizione Superiore Classico identifica un Valpolicella con almeno un anno di invecchiamento prodotto nella zona storica, ovvero quella dei comuni di Negrar, Marano, Fumane, S. Pietro Incariano e S. Ambrogio.  

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NEI SOGNI DI GIULIETTA

La casa di Romeo è in via delle Arche, proprio davanti ai monumenti funebri degli Scaligeri, e non è molto lontana da quella di Giulietta che si trova in via Cappello. Una volta, per andare dall’una all’altra casa, bastava attraversare l’Orto Botanico, che si trovava dove oggi ci sono i giardini delle poste e piazza Viviani. Questo nella leggenda, o meglio nello straordinario racconto di Shakespeare e dei tanti film che ne hanno tratto ispirazione. Ma qualcosa di vero c’è nella storia degli innamorati di Verona. I Montecchi erano un’antica e potentissima casata. Erano a capo del gruppo di famiglie che stavano dalla parte dell’Imperatore e si contrapponevano, con ogni mezzo, alle famiglie che parteggiavano per il Papa. La storia della rivalità non è invenzione e lo stesso Dante ne parla, nel VI canto del Purgatorio. Sicuramente i potenti rivali dei Capuleti (Cappelletti nella realtà) abitavano vicino alle Arche, anche se la casa attribuita a Romeo era in realtà di un’altra importante famiglia, i Nogarola. Di tutti i palazzi medievali di Verona questo è il più grandioso e meglio conservato. Più che di una casa si tratta di un castello merlato con massiccio torrione laterale, a conferma del fatto che nelle vie della città si consumavano spesso violenti scontri come quelli che videro protagonisti Tebaldo, Mercuzio e appunto Romeo. Oggi la casa non è visitabile all’interno, ma dopo il pellegrinaggio alla casa di Giulietta è d’obbligo passare di qui, per immaginare il bel Romeo che turbava i sogni di Giulietta.

Foto Angelo Sartori

20171116 Verona  Inaugurazione ufficiale dopo i lavori di ristrutturazione del balcone di Giulietta  - Foto Angelo Sartori - 20171116 Verona  Inaugurazione ufficiale dopo i lavori di ristrutturazione del balcone di Giulietta - fotografo: Sartori