IL VINO DELLE GRANDI OCCASIONI

In epoca romana in Valpolicella veniva prodotto il retico. Era un vino molto concentrato, che sopportava bene il trasporto. Prima di essere bevuto veniva diluito e speziato come piaceva allora. Un vino rosso dolce viene tuttora prodotto in Valpolicella. Si tratta del Recioto, che prende il nome dalle recie, in dialetto le orecchie del grappolo, ovvero gli acini più esposti al sole e quindi i più dolci. In passato i grappoli venivano lasciati ad appassire fino a Natale su graticci o appesi nei sottotetti, poi venivano pigiati e vinificati. Era una bevanda preziosa, considerata quasi una medicina, e veniva data con il cucchiaino alle puerpere o ai bambini ammalati come ricostituente. Ancor oggi molte aziende della Valpolicella hanno una piccola produzione di Recioto. Viene prodotto con le stesse uve appassite che vengono utilizzate per l’Amarone, che del Recioto è un moderno discendente. La cura e l’attenzione di una volta nella minuziosa selezione dei grappoli e degli acini viene eseguita solo da alcuni produttori che tuttavia riservano le poche bottiglie prodotte al consumo famigliare o come regalo per gli amici più importanti. Il Recioto, tra i pochissimi passiti rossi prodotti in Italia, è un vino da dessert molto raffinato, la cui dolcezza non risulta mai stucchevole. È ideale in accompagnamento di pasticceria secca come cantucci o torta sbrisolona. Ottimo anche con il cioccolato o da gustare solo, a fine pasto, come vino da meditazione.

 

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IL PALAZZO DEL DIAVOLO

Sono duemila anni esatti che la città vive attorno a questo enorme edificio, chiamato Arena a partire dal Medioevo. Quando fu costruito poteva accogliere fino a 30.000 spettatori, un numero di gran lunga superiore agli abitanti della Verona romana, il che dimostra che gli spettacoli attraevano gente dai dintorni e anche da città vicine. Con la caduta dell’Impero tutto finì e l’Arena divenne dapprima la fortezza di re Teodorico e poi una cava di pietra per costruire torri, mura e palazzi. Ai danni dell’uomo, si aggiunsero l’incuria del tempo, le piene dell’Adige e i terremoti, che fecero crollare la parte esterna. Con il passare dei secoli si perse la memoria della grandezza e dello splendore dell’Impero e il popolo di Verona finì per ritenere che l’Arena fosse opera del diavolo. Si raccontava infatti la leggenda di un gentiluomo, condannato al taglio della testa, che avrebbe offerto alle autorità cittadine qualsiasi somma pur di aver salva la vita.

La proposta fu accettata e in cambio della libertà l’uomo doveva, nello spazio di una notte, erigere un edificio per gli spettacoli pubblici capace di contenere tutti gli abitanti della città. Il gentiluomo non si scoraggiò ed entrò subito in trattative con il diavolo, al quale offrì la sua anima. Durante quella notte, tuttavia, il gentiluomo si pentì del terribile patto e pregò ardentemente la Madonna di salvargli l’anima. Questa concesse la grazia, facendo sorgere il sole due ore in anticipo e non permettendo ai diavoli di terminare in tempo la costruzione. L’edificio rimase così incompiuto e questa sarebbe la spiegazione dell’ala.

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UN CAPOLAVORO NATO PER CASO

L’Amarone è un vino unico, traboccante di aromi e sensazioni. I vitigni che lo compongono crescono solo nelle verdeggianti colline intorno a Verona. Il suo colore è un intenso rosso rubino. Il profumo appare morbido e caldo, con fragranze che ricordano le amarene, le prugne mature, le confetture, i lamponi, le viole, le ciliegie appassite, la frutta sotto spirito e un po’ anche la cannella. Il metodo con cui viene prodotto, che prevede il semi-appassimento delle uve prima della pigiatura, non viene usato per nessun altro vino rosso di elevata qualità. Grazie a questa tecnica i suoi aromi pieni e avvolgenti rimangano tali anche dopo anni di invecchiamento. La sua storia è recente e al tempo stesso antica. La prima bottiglia è entrata in commercio nel 1953, ma per lungo tempo è rimasto un vino rivolto ad un consumo locale. Bisogna arrivare all’eccezionale annata del 1990 per vederne lo strepitoso successo internazionale. Prima dell’entrata in commercio c’è invece una storia raccontata che parla di grappoli intrecciati ed appesi al soffitto sin dai tempi di Roma. E poi di anfore cosparse all’interno con una pasta di mandorle amare. E ancora dell’aggettivo amaro con cui i contadini chiamavano il vino secco, per distinguerlo dal vino dolce (di gran lunga preferito). Ma veniamo al famoso “caso”. Fino a poco più di vent’anni per i veronesi era il Recioto il vino più amato. L’Amarone era ritenuto una sorta di variante secca e si diceva che si fosse formato, per caso, in alcune botti di Recioto dimenticate per anni in una cantina.

 

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VALPOLICELLA, LA CULLA DEL VINO VERONESE

La leggenda narra che il nome Valpolicella sia nato da “poli” e “cellae”, a significare valle dalle molte cantine. Diciamo che questa leggenda ci piace, anche se l’origine vera del nome è tutt’ora molto controversa. La Valpolicella è l’insieme di valli che si estende a nordovest della città, una zona paesaggisticamente molto bella, ricca di ville, parchi e borghi. È in questa zona che nasce il vino Valpolicella. Corvina, Rondinella e Molinara sono i vitigni utilizzati nella vinificazione, tutti autoctoni. In bocca il vino si presenta vivace, asciutto, appena amarognolo, armonico e scorrevole nella struttura. Il colore è rosso rubino brillante e il profumo è delicato, gradevole, con sfumature di viola, mandorla o giaggiolo, a seconda della zona di produzione. Se fresco d’annata, il Valpolicella ha una gradazione di 11,5°. Servito a circa 16° è un vino a tutto pasto. La qualifica Superiore identifica il Valpolicella che è stato sottoposto ad almeno un anno di invecchiamento e che ha quindi una gradazione non inferiore ai 12°. Il Superiore va servito a 18 °C e si accompagna preferibilmente a carni grigliate o arrosti. La definizione Superiore Classico identifica un Valpolicella con almeno un anno di invecchiamento prodotto nella zona storica, ovvero quella dei comuni di Negrar, Marano, Fumane, S. Pietro Incariano e S. Ambrogio.  

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NEI SOGNI DI GIULIETTA

La casa di Romeo è in via delle Arche, proprio davanti ai monumenti funebri degli Scaligeri, e non è molto lontana da quella di Giulietta che si trova in via Cappello. Una volta, per andare dall’una all’altra casa, bastava attraversare l’Orto Botanico, che si trovava dove oggi ci sono i giardini delle poste e piazza Viviani. Questo nella leggenda, o meglio nello straordinario racconto di Shakespeare e dei tanti film che ne hanno tratto ispirazione. Ma qualcosa di vero c’è nella storia degli innamorati di Verona. I Montecchi erano un’antica e potentissima casata. Erano a capo del gruppo di famiglie che stavano dalla parte dell’Imperatore e si contrapponevano, con ogni mezzo, alle famiglie che parteggiavano per il Papa. La storia della rivalità non è invenzione e lo stesso Dante ne parla, nel VI canto del Purgatorio. Sicuramente i potenti rivali dei Capuleti (Cappelletti nella realtà) abitavano vicino alle Arche, anche se la casa attribuita a Romeo era in realtà di un’altra importante famiglia, i Nogarola. Di tutti i palazzi medievali di Verona questo è il più grandioso e meglio conservato. Più che di una casa si tratta di un castello merlato con massiccio torrione laterale, a conferma del fatto che nelle vie della città si consumavano spesso violenti scontri come quelli che videro protagonisti Tebaldo, Mercuzio e appunto Romeo. Oggi la casa non è visitabile all’interno, ma dopo il pellegrinaggio alla casa di Giulietta è d’obbligo passare di qui, per immaginare il bel Romeo che turbava i sogni di Giulietta.

Foto Angelo Sartori

20171116 Verona  Inaugurazione ufficiale dopo i lavori di ristrutturazione del balcone di Giulietta  - Foto Angelo Sartori - 20171116 Verona  Inaugurazione ufficiale dopo i lavori di ristrutturazione del balcone di Giulietta - fotografo: Sartori

IL TESORO DELLA DIVERSITÁ

Già nel 1851 il professor Giuseppe Casato di Padova, uno dei maggiori agronomi del tempo, relazionava

al Ministero dell’Agricoltura di Vienna che in nessun’altra provincia del Veneto si coltivavano tante varietà di viti come a Verona. Ne enumerava 82, delle quali 55 nere o rosse e 27 bianche. A differenza del resto del Veneto, Verona è riuscita a salvaguardare nel corso dei secoli i vitigni autoctoni, soprattutto quelli adatti per la produzione di vini rossi. Si può tranquillamente affermare che oggi il veronese è una delle capitali dell’enologia italiana e internazionale, con produzioni che puntano sempre di più all’alta qualità. Qui tra l’altro si producono 14 vini DOC e 5 vini DOCG, che costituiscono il 60% del vino di denominazione controllata prodotto nel Veneto. L’alta reputazione dei vini veronesi ha iniziato ad imporsi all’attenzione degli esperti a partire dagli anni Ottanta, quando i viticoltori locali iniziarono a vinificare prodotti sempre migliori, in linea con il successo ottenuto dall’Amarone, vino di assoluta caratura internazionale. La provincia di Verona è molto importante anche per la quantità di vino prodotto: la viticoltura è in gran parte altamente specializzata ed è presente in un’area di quasi 28 mila ettari che si estende dalle colline a sud e ad est del lago di Garda fino a raggiungere il confine della provincia di Vicenza.

 

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LA SANTA NUDA

È dal 1474 che nel sigillo di Verona compare la scritta Verona nova Jerusalem D. Zenoni Patrono. Un’associazione insolita, che ci lascia intuire quanto antica e complessa sia la storia religiosa della città.

Ma quando iniziò esattamente questa storia, e dove? Nella chiesa di San Procolo, situata accanto alla basilica di San Zeno, è conservata la memoria dei primi decenni della cristianità veronese, quando questo luogo divenne punto di riferimento della comunità cristiana. Sorta in un’area cimiteriale, la chiesa venne eretta tra il terzo e il quarto secolo e ospitò le spoglie dei primi vescovi di Verona. Nel corso dei secoli il tempio viene ricostruito e arricchito di nuovi elementi fino a quando, nel 1806, Napoleone lo fece chiudere. Iniziò così la decadenza che terminò nel 1988, grazie al restauro finanziato dalla Banca Popolare di Verona. Sul muro, accanto agli scalini che scendono nella cripta, si trova una singolare pittura murale, che raffigura una donna vestita esclusivamente dei suoi lunghi capelli. Non è la Maddalena penitente, come si potrebbe pensare, bensì Santa Maria Egiziaca. La tradizione vuole che la santa fosse protettrice delle prostitute pentite. La sua vicenda pare sia collegata a Gerusalemme dove la donna, che veniva dall’Egitto e faceva vita dissoluta, non riuscì ad entrare in chiesa, perché trattenuta da una forza misteriosa. Si convertì al Cristianesimo e così riuscì a varcare la soglia della basilica, impegnandosi a cambiare la propria vita. Divenne un’eremita e visse nel deserto senza vestiti, nutrendosi pochissimo. Sempre la tradizione dice che questa santa, ancora nell’Ottocento, fosse molto venerata in città. Un altro insospettato legame tra Verona e Gerusalemme.

 

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LA PISCINA DI RADETZKY

Quando Verona era austriaca vennero realizzati forti e strade militari che mutarono l’aspetto della città.

Le fortezze, edificate con caratteristiche che rispettavano il decalogo militare dell’epoca, erano più basse e larghe delle precedenti, per contrastare le artiglierie sempre più potenti. L’unico forte costruito con criteri tradizionali è stato l’Arsenale Franz Josef I, fortemente voluto dal feldmaresciallo Radetzky e realizzato tra il 1854 ed il 1861 nella zona allora detta Campagnola.

L’Arsenale, posto in posizione speculare rispetto a Castelvecchio, ricorda un castello in stile neoromanico e ha una planimetria simile all’Arsenale Imperiale di Vienna. Si tratta di uno dei più grandiosi complessi militari dell’epoca, con lo spazio interno organizzato come una città, con strade, piazzali, corti, padiglioni e aree verdi che separano gli edifici.

Tra l’Arsenale e il fiume venne realizzata la vasca natatoria per la scuola militare di nuoto, che fu una delle prime della storia moderna (la prima venne realizzata a Londra nel 1837). Tra il 1923 e il 1930, in occasione della costruzione del lungadige Campagnola, la vasca è stata sistemata e trasformata in area pubblica, mantenendo però l’impianto idraulico originale. Ancora oggi è la seconda vasca più grande d’Europa e rappresenta uno degli angoli più suggestivi e romantici di Verona.

Per i veronesi di città, la vasca dell’Arsenale è una tappa obbligata del passeggio serale estivo.

 

foto di Ruggero Ughetti © 2017 – @

IL RINASCIMENTO IN VIGNA

La storia dei vini veronesi è anche la storia di un grande sforzo corale, che ha visto come protagonisti gli agricoltori, i vinificatori, gli enologi e tutti coloro che di vino si sono occupati in questo territorio nel corso degli ultimi centocinquant’anni. Il vino di Verona non è sempre stato apprezzato e celebrato come lo è oggi. C’è stato un tempo, parliamo dell’Ottocento, in cui c’erano più vigne nella pianura attorno a Legnago che non nelle colline della fascia pedemontana, da sempre ritenuta un habitat ottimale per la coltivazione della vite. Era un tempo in cui l’uva veniva vendemmiata troppo presto e la vinificazione veniva eseguita con molta approssimazione. I vini costavano poco e duravano poco. L’esportazione era limitata e i mercati internazionali ritenevano che i vini italiani, con l’eccezione dei piemontesi e dei toscani, fossero vini scadenti. L’alta cucina europea beveva vini francesi, o vini tedeschi del Reno, o vino tokaj ungherese. Le cose sono cambiate un po’ alla volta, grazie alla costanza, alla forza, alla pazienza e alla progressiva apertura mentale dei produttori. Negli ultimi cinquant’anni l’evoluzione del vino veronese è stata semplicemente straordinaria. I doc di Verona hanno conquistato il mondo e sono entrati nelle enoteche più esclusive. Quella che già nell’Ottocento veniva descritta come la “mancata” Borgogna italiana, oggi è finalmente diventata una delle patrie mondiali del vino.

 

 

 

LA CULLA DEL GALATEO

Nel palazzo Accoliti, al civico 9 di piazza Vescovado, c’è una piccola lapide che ricorda un fatto assolutamente ignoto alla maggior parte dei veronesi. L’epigrafe dice: Per consiglio di Galateo Florimonte, gentiluomo alla corte del vescovo Giberti, monsignor Giovanni Della Casa scrisse, e ad onor di lui intitolò, il Galateo. Proprio così: il famoso libro che definisce le norme della buona educazione fu pensato, e forse anche scritto, qui a Verona mentre l’autore si trovava presso la residenza del cardinale Gian Matteo Giberti, il quale ospitava volentieri a casa sua i migliori esponenti della cultura umanistica e cristiana del tempo. Uomo dalla forte personalità, Giovanni Della Casa visse nella prima metà del Cinquecento e fu letterato e al tempo stesso uomo di chiesa. Dopo una tumultuosa giovinezza si dedicò alla vita religiosa e per le doti di ingegno e di magistero divenne vescovo di Benevento. Ricevette vari incarichi dal Pontefice Paolo IV dal quale fu innalzato alla carica di segretario di stato. Scrisse varie opere in prosa e in rima, queste ultime ricche di eleganza e profondità di sentimento. Ma dove emergono le sue migliori doti di scrittore è nell’opera più famosa: Il Galateo overo de’ costumi. Chi avesse voglia di andarsi a leggere questo breve e fortunato trattato, troverà conferma dell’inaspettato legame tra la città di Giulietta e il bon ton.

 

 

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